Ero al buio quando Luca è morto

Ero qui, al buio. Al buio dell’Inferno quando ho appreso che Luca Coscioni ci ha lasciato.

Un ragazzo reso muto dalla malattia. Un leader, come ha detto ieri Marco Pannella. Le parole di Pannella. Le uniche: “Luca Coscioni, un leader in prima linea, ammazzato dalla qualità di questo Paese, dalla sua oligarchia, che lo corrompe e lo distrugge”. Ecco il Pannella che amo. Il Pannella che fotografa e ha fotografato molte volte la situazione che stiamo vivendo. La condizione di Luca, simbolo della battaglia per la ricerca scientifica… Appena ho saputo della notizia della sua morte, ieri sera, sono corso, con le lacrime agli occhi, verso la mia libreria a cercare il libro scritto da Luca qualche anno fa ed edito da Stampa Alternativa: “Il maratoneta – Storia di una battaglia di libertà”. Ricordavo di avervi letto parole che mi avevano colpito. Che mi erano rimaste dentro e che mi avrebbero accompagnato per sempre. Nella retrocopertina Luca Coscioni scrive: “Certe volte mi domando cosa mi tenga in vita. E’ la maratona. E’ l’averla corsa che non mi fa mai chinare il capo. Sono nel fango, cado, mi rialzo e cado. Ma ogni volta che mi rimetto in piedi, per poi subito dopo ricadere, mi accorgo che il fango non mi si è attaccato addosso. Sono pulito, devo esserlo.” Nella prefazione al libro, poi, Coscioni scrive: “Certe volte mi domando perché mi sono ammalato di sclerosi laterale amiotrofica, perché questa malattia sia toccata proprio a me e non a qualcun altro…” e poi Luca prosegue parlando della “Voce degli Alberi”: “Vorrei scendere e camminare e abbracciare il vento, ma non posso. Mi piacerebbe andare incontro al temporale correndo, ma non posso. Vorrei innalzare un inno a questo spettacolo meraviglioso, ma le parole mi nascono nel cuore e mi muoiono in bocca. Dovrei essere uno spirito libero per poter gioire, ora. Sono invece un uomo provato dalla Sofferenza e dalla perdita della Speranza. Non sono solo, ma provo solitudine. Non è freddo, eppure provo freddo. Tre anni fa mi sono ammalato ed è come se fossi morto. Il Deserto è entrato dentro di me, il mio cuore si è fatto sabbia e credevo che il mio viaggio fosse finito. Ora, solo ora, comincio a capire che questo non è vero. La mia avventura continua, in forme diverse, ma indiscutibilmente continua. Nove anni fa, nel Deserto del Sahara, stavo cercando qualcosa. Credevo di essere alla ricerca di me stesso e mi sbagliavo. Pensavo di voler raggiungere un traguardo e mi sbagliavo. Quello che cercavo non era il mio ego o un porto sicuro, ma una rotta verso quella terra per me così lontana dove abitano Amore e Speranza”.

Parole toccanti. Parole profonde che solo un Leader pronto a tutto potrebbe affermare. Un Uomo in lotta, che sapeva di avere poco tempo e nulla da perdere. Luca Coscioni aveva solo da guadagnare un futuro migliore per sé ed i milioni di malati come lui, privati della possibilità di curarsi a causa di una ricerca scientifica che non esiste. Di una ricerca osteggiata da una politica talebana, clericale, vaticana. Da una politica violenta e…assassina. “Perché la politica è vita o morte, civiltà o violenza”, affermava Coscioni. La politica di Luca, di Marco e degli altri compagni radicali ed antiproibizionisti era Vita contro la morte. Civiltà contro le barbarie berlusconiane, prodiane, ruiniane, sirchiane. “L’Italia vaticana e clericale, è il primo nemico della coscienza religiosa”, proseguiva Luca scrivendo dal suo terminale che gli consentiva di “parlare” con una voce metallica. Una voce tagliente. Una voce scomoda. Una voce Viva e Vera. Come poche. Una voce religiosa. Luca Coscioni ha avuto molto da insegnarci. Luca Coscioni: un muto che parla. Un muto che lotta. Autentico sano fra i malati di Potere.

23 febbraio 2006 – Luca Bagatin

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