Ad Aldo Capitini

Perché non ci sarò

di Luca Coscioni*

Molto mi lega ad Aldo Capitini, alla sua ferma persuasione di dover chiamare a concorrere alla creazione di una nuova socialità gli esclusi, i malati, gli assenti. La sua affascinante, lirica, concezione di una compresenza dei morti e dei viventi, in cui il singolo, al di là delle proprie condizioni fisiche, materiali, è investito di un ruolo primario e diviene soggetto, protagonista, di democrazia e rinnovamento, è a mio avviso la traduzione più felice e straordinaria del concetto di nonviolenza espresso da Gandhi. Devo anche a Capitini se riesco a trovare in me le ragioni, la forza per non piegarmi e lasciarmi vincere dal male, dalla sclerosi laterale amiotrofica, che da anni mi affligge, ferendo inesorabilmente la mia giovinezza. Il male mi ha raggiunto nel fiore delle mie speranze senza però devastarmi interiormente ed oggi, più di prima, so che, anche se ridotto ad essere voce metallica e sguardo costantemente in cerca di un colloquio, la mia vita ha ed è valore e ogni giorno si arricchisce di nuovi contenuti. Capitini insegna che la nonviolenza è tensione continua, non accettazione del dato esistente, passione per la verità, costruzione del presente tramite l’attuazione del futuro. Il nonviolento non si dà mai per vinto e lotta. Fu proprio questa consapevolezza a contrassegnare l’antifascismo capitiniano, la riottosità a ogni forma di totalitarismo, a spingere a concepire il liberalsocialismo come “L’elemento dinamico che sovverte ogni irrigidimento e conservatorismo” e a criticare, già nel lontano 1945, l’insufficienza e l’inadeguatezza dei partiti di sinistra alla comprensione del “punto storico di maturazione della civiltà”. Da allora ad oggi di tempo ne è trascorso, siamo giunti all’alba del XXI secolo, ma, purtroppo, questa sinistra rinunciataria, che pretende di strumentalizzare indebitamente la figura del filosofo perugino, continua a dibattersi in forti contraddizioni senza avere il coraggio di operare scelte decisive e coraggiose. Questa sinistra, oscillante tra forsennato e pregiudiziale antiamericanismo e pacifismo di maniera, non è, purtroppo, all’altezza dei mutamenti in atto e rischia di farsi, ancora una volta, foriera di catastrofi e tragedie. Noi nonviolenti crediamo che il problema di garantire cibo, pane, acqua per tutti potrà essere risolto non dalla ripetizione di rozzi schemi materialistici ma da un benefico innesto di libertà, di informazione, in altri termini, democrazia. Nel mondo c’è fame, c’è sete di verità. Dove questa manca nascono i fondamentalismi, alligna il terrorismo. Noi nonviolenti abbiamo il dovere di saziare gli affamati e dissetare gli assetati con il pane del diritto, dei diritti, e l’acqua della conoscenza. Dobbiamo assicurare a tutti la possibilità di essere nel mercato, nella convinzione che sviluppo e libertà non sono termini e concetti tra loro distanti ma vicini, identici. Per questi motivi aderire a questa marcia, così radicalmente lontana dalle analisi e dagli obiettivi perseguiti concretamente da Capitini, significa affermare non la nonviolenza ma l’ambiguità, l’equivocità di chi ritiene che la pace sia un pranzo di gala, una retorica sfilata per tacitare la cattiva coscienza.

* presidente dei Radicali Italiani

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