Il mio intervento al consiglio superiore della Sanità

Qui ribadisco la posizione mia e dell’Associazione Luca Coscioni di cui sono co-presidente insieme al Professor Gilberto Corbellini e al Professor Piergiorgio Strata

Il Consiglio Superiore di Sanità ha bocciato una terapia per la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dopo che diversi tribunali, sulla base del principio della libertà di cura, hanno condannato le ASL a dare gratuitamente un farmaco senza prove di efficacia. Secondo gli esperti del Consiglio Superiore di Sanità, i risultati, attualmente non disponibili, non giustificano il trattamento per la SLA con IGF e IGF-2/IGF BP3. Posso comprendere le ragioni del ministero, almeno per come sono state diffuse attraverso giornali e mass media: si vuole scongiurare un nuovo “caso Di Bella”, quando un metodo anticancro rivelatosi poi di nessuna o scarsissima efficacia, sotto la pressione di una ben orchestrata campagna politico-mediatica, venne somministrato a moltissimi malati su ordine dei pretori. Prendo atto che secondo il ministero e i suoi esperti si sarebbe di fronte a un fenomeno simile, anche se numericamente più ristretto; con, in questo caso, un’aggravante: da una parte oltre a creare una pericolosa e inutile illusione tra i malati e le loro famiglie, creerebbe seri problemi di cassa, dal momento che un ciclo di terapia viene a costare circa 130mila euro.

Non ho elementi per dubitare di quanto dichiarato, per esempio dal neurologo, professor Cesare Iani, direttore dell’unità di neurologia al Sant’Eugenio di Roma, che in una lettera sostiene: “Oltre che inutile il farmaco è pericoloso perché alti livelli di IGE possono determinare forti aritmie”; credo che si debba accertare con il massimo rigore e senza margini di dubbio se l’episodio di morte improvvisa di cui parla il professor Iani sia effettivamente da mettere in relazione alla sperimentazione di questo farmaco.

Si tratta di opinioni da considerare con massima attenzione; e tuttavia ritengo incontestabile il fatto che la lotta a una malattia che per ora non concede speranza, vada combattuta su più piani: quello fisico, certamente, ma – contestualmente – anche quello psicologico e della qualità della vita. Sono convinta che si debbano dare delle risposte al disagio dei pazienti che vogliono poter sperimentare i farmaci come accade per esempio negli Stati Uniti, e delle loro famiglie. Sono persone che non possono aspettare. Quello che è urgente assicurare è adeguata informazione, ed è per questo che il Ministero della Salute deve affrontare questa realtà con chiarezza. Non è possibile continuare a ignorare che di fronte alla mancanza di risposte vi siano malati che intendono tentare.

Nel lavoro del professor Gilberto Corbellini in corso di pubblicazione, lui pone con chiarezza i termini della questione che dobbiamo risolvere, il “triangolo” scienza-comunità scientifica-comunicazione scientifica. Opportunamente il professor Corbellini si è richiamato al caso Di Bella, come “evento spettacolare” che si risolse in “un banale caso di ciarlataneria, che attraverso un corto circuito tra media e politica, è diventato un’emergenza nazionale”.

Per evitare di cadere negli stessi errori, conviene ricordare quanto accadde allora.
Sinteticamente, si descrive la situazione di quei mesi: “La scarsa deontologia professionale dei giornalisti e loro direttori di testate è stato un ingrediente essenziale del tragico successo d pubblico della terapia Di Bella. Da Maurizio Costanzo a Enrico Mentana, da Michele Santoro a Bruno Vespa, senza dimenticare Michele Serra e Francesco Merlo, né i due artisti del malaugurio, Dario Fo e Beppe Grillo, hanno spremuto fino all’estremo il succo nazional-popolare della vicenda Di Bella. Quando già era chiaro come sarebbe andata a finire, Bruno Vespa arrivò a controfirmare un libro con Di Bella”.

Il giudizio del professor Corbellini è impietoso: “Si trattava di una singolare miscela di ignoranza e impunita arroganza utile solo a rappresentare il Di Bella come un genio incompreso, e dove si può trovare scritto che la causa del cancro del seno sono le stimolazioni erotiche”. Credo che questa affermazione, volgare e stupida, si commenti da sola, e da sola qualifichi la scientificità dell’opera.

Un circo Barnum, non si avesse rispetto per il circo. Accadde, in quell’occasione un fenomeno che abbiamo avuto modo di constatare spesso, ma questa volta più penoso e irritante, perché la questione si giocava sulla pelle di malati e sulle loro speranze e delle loro famiglie. “I direttori dei quotidiani”, scrive il professor Corbellini, “quando si accorsero che l’argomento appassionava l’opinione pubblica, lo sottrassero ai giornalisti scientifici per sfruttarlo come tema di cronaca, alimentando così ulteriormente il meccanismo perverso che produceva disinformazione e quindi anche pericolose illusioni”. A nulla servì l’iniziativa di coscienziosi giornalisti scientifici che sul “Sole 24 Ore” pubblicò un documento significativamente intitolato. “Il caso Di Bella: a proposito di etica e di informazione”.

(Qui conviene citare il risultato di uno studio, pubblicato dalla rivista “Lancet”: emerge che la campagna di stampa aveva indotto ottimismo sull’efficacia della terapia nel 42 per cento degli interpellati; e incertezza nel 57 per cento. Il 24 per cento non aveva discusso la nuova terapia con il proprio oncologo; il 20 per cento avrebbe voluto farlo, ma non c’era riuscito. Il 63 per cento desiderava provare la terapia, anche se l’efficacia era tutt’altro che provata, e questo per non escludere alcuna possibilità di cura. Uno studio che mette in evidenza il ruolo negativo che possono esercitare televisione e stampa nel generare ondate di emotività nei malati e le loro famiglie.)

In sintesi proponiamo
- massima serietà su sperimentazione clinica e dell’informazione scientifica;
- massima e corretta informazione (medici – operatori sanitari quindi ai malati) per trovare le condizioni ottimali di cura e di assistenza;
- attenzione prioritaria all’assistenza del malato affrontando le questioni burocratiche della sanità che penalizzano i malati;
- non da ultimo la questione della libertà di ricerca scientifica nel nostro Paese ( legge 40)
- liberalizzazione delle sperimentazioni cliniche con possibilità da parte dei malati di entrare nei protocolli di studio riducendo i limiti del reclutamento fissati dai Comitati etici.

Il diritto all’informazione è imprescindibile, e va garantito e tutelato. Il ministero della Salute ha già tutti gli strumenti – o comunque li può reperire facilmente e rapidamente – per assolvere questa funzione, utilizzando le nuove tecnologie – penso a internet – e coniugarle a quelle tradizionali, come, per esempio, il mezzo radio-televisivo: che può, e dovrebbe facilmente assicurare quello che a giusto titolo può esser definito un “servizio pubblico”. Naturalmente si possono studiare la possibilità di redigere appositi “bollettini”, così da informare e aggiornare i pazienti, le famiglie e i loro medici curanti. Insomma, ribadisco: la questione non è tanto il diritto al farmaco, quanto il diritto del malato e delle loro famiglie di essere messi in condizione di essere informati sulle sperimentazioni in corso, in Italia e in altri paesi, e – naturalmente – i risultati scientifici che di volta in volta vengono conseguiti. La stessa chiarezza che l’Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica chiede al ministro Livia Turco sulle questioni del registro nazionale dei malati di sclerosi laterale amiotrofica, sull’aggiornamento del nomenclatore degli ausili e delle protesi, e sull’assistenza personale con la presa in carico del malato.

Eventuali errori presenti nel documento sono dovuti ad un adattamento del testo per il sintetizzatore vocale utilizzato da Luca

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